1984 occhio«Come si sarebbe potuto distinguere quello che era vero da quel che non lo era? Poteva essere vero che la media degli individui stava meglio ora che non prima della rivoluzione. La sola prova che era vero, invece, il contrario, era una specie di muta protesta che si sentiva nelle ossa, un sentimento istintivo che le condizioni in cui si viveva erano intollerabili e che ci doveva essere stata un’epoca precedente in cui esse erano state diverse. Lo colpì il fatto che la vera caratteristica della vita moderna non consisteva nella sua crudeltà o nella sua insicurezza, ma solo nella sua nudità, nel suo squallore, in quella sua incapacità d’ascoltare e d’apprendere. La vita, se si faceva tanto di guardarsi attorno, non rassomigliava in nulla non solo a ciò che proclamavano le menzogne del teleschermo, ma nemmeno a quegli ideali che il Partito cercava di raggiungere. Una gran parte della vita, anche per un membro del Partito, era neutrale, fuori di qualsiasi interesse o contingenza politica, semplicemente una serie di atti, come lo sgobbare in un lavoro monotono e privo di interesse, sbracciarsi per un posto nella metropolitana, rammendare un calzino bucato, elemosinare una pastiglia di saccarina, mettere da parte una cicca.

L’ideale strombazzato dal Partito era qualcosa di grande, di terribile, di luminoso: un mondo d’acciaio e di cemento, di macchine mostruose e di armi terrificanti, un popolo di guerrieri e di fanatici, che marciavano innanzi in compagine perfetta, tutti con le stesse idee nella testa e gli stessi slogans sulle labbra, che lavoravano senza stancarsi mai, ed egualmente senza stancarsi mai combattevano, vincevano, perseguitavano; trecento milioni di persone tutte con la identica faccia. La realtà, invece, erano miserabili città in rovina dove gente denutrita si trascinava su e giù con scarpe che lasciavano scoperti i piedi, dentro certe case novecento che si tenevano su a furia di toppe e di cartone e di tela cerata, e che puzzavano sempre di cavoli e di cessi otturati. Gli sembrava di vedere Londra, immensa rovina, una città di milioni di sacchi d’immondizie, e sovrapposta a quella visione c’era come l’immagine della signora Parsons, con le sue rughe, i suoi capelli color paglia, che armeggiava attorno al tubo di scarico dell’acquaio, senza riuscire a disintasarlo.
Si chinò di nuovo a grattarsi il calcagno. Giorno e notte il teleschermo riempiva le orecchie di statistiche che dimostravano come il popolo ora avesse cibo migliore, vestiti migliori, case migliori, divertimenti migliori… come la gente vivesse più a lungo, lavorasse di meno, fosse più alta, più sana, più forte, più felice, più intelligente, più educata, più colta che la gente di cinquant’anni prima.
Non una sola parola si poteva provare o refutare. Il Partito, per esempio, sosteneva che, allora, il quaranta per cento dei prolet adulti sapeva leggere e scrivere: prima della rivoluzione, si diceva, la percentuale era appena del quindici. Il Partito sosteneva che la mortalità infantile era solo di centosessanta su mille, mentre prima della rivoluzione era stata del trecento… e via di seguito. Era come una sola equazione con due incognite. Poteva darsi benissimo che ogni parola dei libri di storia, anche le cose che tutti accettavano senza riserve, fossero letteralmente fantasia pura.»

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Immagine presa da: La Chiave di Sophia

 

GEORGE ORWELL – 1984

 

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