Questa è la fine di un anno assurdo, incasinato, impanicato, fantastico, complicato e impegnato. Imprevedibile. È la fine di tutto quello che non dovrò mai più essere e di quello che ho imparato ad essere in questo duemilaequattordici.
E in questa fine c’è un’immagine, il bianco inaspettato come tutte le cose imprevedibili che non dipendono dagli esseri umani, il bianco che sfreccia verso la mia terra, gelido e ostico, bello e impenetrabile, mentre lo attraverso in macchina pensando a quello che mi sto lasciando alle spalle.
Io amo il freddo e la neve, come amo il caldo e il sole, amo tutto quello che ti fa perdere tempo, che ti interrompe, che ti riporta sulla terra facendoti sognare le stelle. Sarà per questo che ho uno strano e complicato modo di amare secondo molti esseri umani, sarà perché non mi sono mai lamentato quando nevica in città, e ho sempre pensato che gli esseri umani spesso usano il tempo in un modo che non lascia spazio né al caldo, né al freddo, né all’amore. Un modo anestetico.
Questa è la fine e ne sono felice. È la fine di un terremoto, e dopo il terremoto tu ci sei, e questo è l’inizio del mio sorriso e del mio godimento, e di tutto quello che dobbiamo ancora imparare.
Per essere noi.
Buona fine, buon inizio, buon “divenire ciò che si è”.
Sempre e comunque, che sia una fine o che sia un inizio, poco importa.
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