Articolo scritto originariamente per le “scor-date” de Il blog di Daniele Barbieri e altr*
«O vogliono che questi giovani che hanno famiglia, vadano alla disperazione, come quei poveri contadini giù nel Tacco? Loro gli mandano i soldati e i carabinieri, sparano, legano, buttano in galera, e credono d’aver tutto bello e sistemato. Qui è question di fame, è question»
Vasco Pratolini[1]
Prendi una piccola terra del Sud Italia chiamata Salento, che vive da secoli di agricoltura e da qualche anno di turismo, da quando le amministrazioni locali si sono inventate amene attività folkloristiche come la riscoperta della pizzica e quella della lingua grika, che tanto attirano le masse urbane alienate bisognose di divertimenti alternativi.
Prendi una popolazione, quella salentina, in cui una larga fetta non è mai riuscita ad uscire dalla mentalità feudale, che chiama ancora «feudi» le zone di campagna limitrofe alle aree urbane, che ragiona spesso e volentieri in termini di razza e di identità e funziona, dal punto di vista lavorativo, in termini di padroni, caporali e servi della gleba. E mai criticare o contraddire quella larga fetta, se no si innervosisce e non ragiona più.
Prendi un’altra popolazione più eterogenea che vive in Italia, quella dei «negri» che fanno lavori stagionali nelle campagne perché gli italiani non vogliono più farli, girano dal Trentino all’Emilia al Tavoliere delle Puglie e verso luglio arrivano anche in Salento per raccogliere angurie e pomodori, dato che questi due prodotti sono richiestissimi dalle masse urbane alienate di cui sopra, che vanno a fare la spesa nei loro luoghi sacri, i supermercati. Continua a leggere “Il primo sciopero nero”