Nuova ospitata (la terza) nelle Fiabe Atroci, anche questa al femminile
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VIPASSANA
di Titti Demi
Arrivo alla stazione di Faenza e lo vedo. Magro, borsone nero, seduto a gambe incrociate e intento a leggere un libro che, per presbiopia precoce, non identifico. Ha la schiena dritta e l’aria di quello che “io sto nel qui e nell’ora, sono nel respiro e voi siete dei fessi.”
E’ quasi sicuro, anche lui aspetta la navetta delle 14:00.
Sì, sì! Ma mò sono le 7:30 ed io non ci ho un cazzo di voglia di piombarmi sul mio di borsone e soprattutto mi sturba non poco tirare fuori il tabacco dinanzi a codesto presunto compagno di viaggio.
Un po’ scoglionata mi allontano verso il centro e inizio a pensare che forse non è stata una buona idea, che magari se a quell’idiota di test a risposta sincera non avessi mentito di brutto ora non sarei qui con questa vaga, vaghissima sensazione che, come disse la benedett’anima, se di amore non si muore un po’ certo si rincoglionisce.
E poi la mattina a Faenza che fai?
C’ero già stata secoli fa con un ex, argentino sassofonista alcolizzato, tre aggettivi che negli anni hanno sostituito il suo nome, e ora seduta su questi gradini freddi, gli stessi probabilmente su cui incollammo il culo anni fa. Di tutta quella storia non mi sovviene nulla, al chè mi rullo un po’ di tabacco e con un tiro onoro l’oblio di lui e me stessa sopravvissuta a uomini decadenti.
Sono le 10:00. Mi tocca non pensare che ancora una volta sto qua a causa di, o per circostanze che, o chennesò…
Mi metto a cazzeggiare tra mercato, biblioteca, museo della ceramica, cessi pubblici e internet point; trasportandomi di qua e di là, montando e smontando la rabbia, scolando litri di caffè ognuno in un bar diverso e fumando sigarette, ogni volta l’ultima.
Merda, manca ancora un’interminabile ora! Mi metto su una panchina lungo il viale della stazione, passa un maschio poco evoluto che sol perché guardato negli occhi pensa di aver rimorchiato, napoletano con accento emiliano – no, il numero non te lo do che sono di passaggio e fra poco il telefono sarà inesorabilmente spento, pace all’anima sua.
La navetta è già fuori che ci aspetta e vedo pure che siamo in tanti coi borsoni e con l’espressione “ma che minchia ci aspetta?”
Ci riconosciamo nella nostra solitudine. In quel frappè che partiamo mi rammento i 5 principi a cui attenersi, dei primi tre me ne fotto: non rubo non mento (al test sì) non sono venuta qui per scopare; sugli altri due so già che qualche maligno sta facendo previsioni e scommesse.
E qua mi sale il magone, mannaggia! Mi vedo piccola e tossica e fanculizzata e per dirmi che non è così mi do alla fattanza prima dell’astinenza, chiamo e mando sms a chiunque, mi rullo sigarette di due tiri a volta, e poi, giuro, non ci volevo proprio pensare ma fra 10 giorni sarò troppo purificata e illuminata per farlo, allora ho deciso che è meglio una incazzatura oggi che la gnorri domani e ti chiamo, ti faccio sentire brutto, ti sbatto il telefono in faccia perché non so dirti che ti amo.
E’ ora, si parte.
Già mi sento più spiritual.