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Frida Kahlo
Frida Kahlo Il mio vestito è appeso là o New York, 1933 Olio e collage su masonite, cm 46 × 50 Monterrey, FEMSA © Banco de México Diego Rivera & Frida Kahlo Museums Trust, México D.F.

Luglio 1996

Solo un altro giorno nella vita di un guaglione
tempo che non dà soddisfazione
Neffa

«Hai scopato?»
«Sì.»
«Ah beh.»
«Che cosa?»
«No, niente, dicevo beata te.»
«Mah, a te com’è andata?»
«Mmm, così così, ho scambiato qualche effusione affettuosa.»
«Certo, affettuosa.»
«Perché tu non sei stata affettuosa?»
«Per me l’affetto è un’altra cosa rispetto alla scopata dell’altra notte.»
«E chi è?»
«Che ti interessa?»
«Così per curiosità…»
«È un ragazzo marchigiano, si chiama Luigi.»
«Marchigiano?»
«Sì, perché non si può?»
«Ma stiamo litigando?»
«Non so, se vuoi litighiamo, sei tu che sei strano.»
«Non è che sono strano, è che non lo so, non me l’aspettavo e… dai non fare la svampita, non è che mi lascia indifferente.»
«Non sono svampita, nemmeno a me lascia indifferente che tu abbia avuto effusioni affettuose con Anja.»
«Senti, io ho passato una notte terribile con lei, va bene?»
«Mi dispiace.»
«Sei sicura che ti dispiaccia?»
«Sì.»
«Grazie, ma non lo so se mi va di parlarne adesso con te.»
«Va bene parliamo di altro.»
«Parliamo della gelosia.»
«Oh senti, io sono così.»
«Così come, senza sentimenti?»
«Ma smettila, ti sembro senza sentimenti?»
«No, assolutamente. Mi sembri incasinata ecco.»
«Non sono questi i miei casini principali in questo momento.»
«Però non vuoi parlare della gelosia.»
«È un discorso che mi dà fastidio, specie come lo affrontate voi maschi.»
«Noi maschi, voi femmine…»
«…e tutto il resto. Sì, voi maschi, fate un sacco di discorsi e manfrine perché siete in competizione continua per chi si prende la preda migliore.»
«Ma che cazzo dici, ti ho mai detto niente delle tue scopate con Davide?»
«…»
«Ecco allora non dire fesserie, non mi mettere dentro alle categorie della tua testa perché io non sono così.»
«Perché ti stai arrabbiando adesso?»
«Perché perché, perché c’entrate pure voi, non è che io prendo e in un attimo mi tiro fuori da tutto quello che mi hanno passato nella vita, ho le mie turbe, le mie difficoltà, e sentire che mi dici che hai scopato come fosse la cosa più normale del mondo, mi fa incazzare, perché non è così.»
«Ma io ho sempre pensato che la cosa bella tra di noi è che riusciamo a parlare di tutto. E poi noi non stiamo insieme.»
«Non abbiamo mica scopato noi.»
«Già.»
«Senti Marco, tu stai bene con me, così come stiamo?»
«Solo amici?»
«Rispondimi.»
«Sì, sto bene.»
«E lasciati andare a questa cosa, così come viene…»
«Ti pare facile, se mi avessi visto in che stato ero la notte scorsa capiresti.»
«Ma allora ne vuoi parlare?»
«No, lasciamo perdere. Anzi visto che hai tanta voglia di parlare tu, dimmi dov’è che hai conosciuto questo Luca, o come si chiama.»
«Luigi si chiama. L’ho conosciuto tempo fa, alle case occupate, poi è un po’ di tempo che ci incontravamo e parlavamo. Anzi no, lo avevo già visto a lezione, è un mio compagno di facoltà.»
«Come sarebbe?»
«Perché?»
«Io ho conosciuto un ragazzo marchigiano quando venivo a lezione da voi.»
«Bologna è piena di marchigiani.»
«Descrivimelo.»
«Ha i capelli ricci corti, castani chiari, alto quanto me, carino.»
«E certo, se no mica te lo portavi a letto.»
«Piantala!»
«Ha l’aria da stronzo?»
«È un po’ sulle sue, fa l’intellettuale maledetto e questo non è che mi attiri molto.»
«Meno male che non ti attira! Comunque è lui. Gli ho chiesto gli appunti un giorno ed è stato molto strafottente, non mi ha calcolato di striscio e sembrava mi stesse facendo l’elemosina. Non mi sta simpatico per niente quel tipo.»
«E adesso ancora meno a quanto pare.»
«Ecco appunto.»
«Vabbè, non lo devi frequentare.»
«Ci mancherebbe, anzi mi sa che se vi vedo insieme in giro sparisco.»
«Non fare il tragico adesso.»
«Vedrai.»

2016-01-28 16.50.49

La panchina della Montagnola dove siamo seduti è molto rassicurante. A due passi c’è il mercatino freak con gli africani e gli indiani e i chilom che passano di mano in mano, ma qui nel cerchio interno di fronte al laghetto non c’è quasi nessuno, a parte noi e una coppietta dall’altro lato e un tizio addormentato su un’altra panchina accanto alla nostra. Ogni tanto passa qualcuno ad offrirci del fumo ma noi rifiutiamo, anche se in realtà ne avremmo molta voglia e sappiamo che qui non ci sono pericoli. A parte le cimici e le telecamere che possono essere ovunque. Incredibile, questa storia ci ha tolto la naturalezza che abbiamo sempre avuto quest’anno nella nostra città, di essere liberi di essere noi stessi senza preoccuparci della legge e della morale. Ci ha portato un panico sconosciuto prima e da cui sarà difficile liberarsi veramente.
Io lo so che Betty mi vuole bene e che non ha senso fare manfrine per una scopata, ma non è questo infatti che mi turba veramente. È che in tutta questa instabilità io ho paura di perderla per sempre. Camminiamo in bilico su una corda sottile e le folate di vento sono troppe per riuscire a superarle tutte, nonostante noi siamo forti, siamo i più forti di tutti, stiamo vivendo come ci dicono i nostri sensi e questo ci sta lentamente liberando da tutte le paure che abbiamo subìto nelle nostre rispettive vite, siamo sempre più sicuri di noi ma siamo ancora ragazzini. Siamo fragili.

«Ragazzo dobbiamo andare a studiare.»
«Studiamo insieme?»
«All’aperto!»
«Va bene. Passo da casa a prendere i libri.»
«Ci vediamo al parchetto tra un’ora? Io faccio un giro al mercatino intanto, i libri ce li ho con me.»
«Ma vieni poi?»
«Ma sei stupido? Certo che vengo!»

La casa-relitto non sembra aver subito troppi scossoni dopo la perquisizione. È strano, ma ci stiamo abituando alla strategia della tensione, in mezza giornata abbiamo rimesso in ordine tutto e abbiamo deciso che continueremo a fare una vita normale. In realtà Davide è andato in questura, ha preso coraggio ed è andato a fare una deposizione spontanea. Pare che abbia citato anche Rossella, non ha detto tutto quello che sappiamo ma solo che la punta con il tizio spacciatore quella sera alle case occupate ce l’aveva avuta da lei. Ha deciso di prendere di petto la cosa e se proprio dobbiamo entrarci anche noi nella questione ingarbugliata dell’omicidio, allora ci entreremo con la nostra verità. Ma non è detto che gliela diremo subito. Dopo è tornato e si è messo a studiare anche lui, in camera, come se niente fosse successo, e la sera siamo usciti al Pratello e abbiamo bevuto birra e suonato la chitarra per strada.
Lui e Cesare hanno deciso di restare.
La casa-relitto sta resistendo alla guerra psichica.
Mentre cerco tutto il materiale che mi serve per andare a studiare con Betty, mi ricordo di aver rimesso a posto il giorno prima tutti gli appunti che di solito conservo nel cassetto della scrivania e che gli sbirri mi avevano simpaticamente disseminato sul pavimento. Mi sembra di aver notato gli appunti di Semiotica già prima, mentre raccoglievo tutto, e infatti li trovo subito, il quaderno rimasto a metà della lezione che poi smisi di frequentare, con annesso plico di fotocopie delle prime lezioni che avevo perso. Non c’è nemmeno bisogno di sfogliarle, sulla prima pagina campeggia il suo nome. Luigi Marinelli. Vabbè, era giusto per togliermi il dubbio, ora non ci pensiamo più. Se dovrò averci a che fare cercherò di essere gentile, al contrario di come si è comportato lui, perché tutti meritano gentilezza fino a prova contraria. Anche se non sarà facile, lo so.

Non ci vuole molto tempo perché si presenti l’occasione temuta. Al parchetto vicino via Zamboni dove sciamano decine di ragazzi e ragazze, si chiacchiera si studia e ci si incontra facilmente. Noi prendiamo un tavolino piuttosto appartato e ci mettiamo a leggere indisturbati.
Dopo circa un’ora vedo entrare da lontano un ragazzo che cerca un tavolino dove mettersi a studiare, lo fisso mentre si avvicina e lo riconosco. Lui guarda dalla nostra parte, tentenna un attimo e si dirige verso il nostro tavolino. Quando è quasi arrivato Betty lo vede e ha uno scatto, gli fa un cenno con la mano dopo si alza e gli da un bacio sulla guancia. Scambiano qualche parola e Betty ci presenta, lui non sembra riconoscermi e io subito dopo ritorno con gli occhi sul manuale di Storia Romana, del resto la crisi della Repubblica è ormai in atto e la figura di Giulio Cesare che si staglia all’orizzonte della civiltà occidentale mi tiene abbastanza occupata la mente. Ma non tanto da non accorgermi che abbiamo un nuovo invitato al salotto letterario. Betty mi guarda spesso preoccupata, teme che io rispetti la promessa di fuga fatta poco prima, ma sorprendentemente anche per me non mi passa per la mente minimamente di alzarmi e scappare via. La curiosità mi ammorba, questa è la verità, una curiosità mista a qualcosa di belligerante e a qualcosa di erotico, ancestrale anche questo forse, come Achille e Patroclo che erano combattenti per la patria e sembra fossero amanti.
Eppure lo trovo veramente viscido e falso, sciorina ripetutamente teorie del linguaggio con l’aria di chi ha studiato solo per andare in società e conquistare la fica con il potere del sapere. Ha già sostenuto l’esame che sta studiando Betty e quindi le fa comodo, ora capisco, ma al di là dell’indubbio fastidio per la sua presenza, il suo pontificare non mi permette di dedicarmi al mio buon vecchio manuale, quindi la situazione si fa paradossale: Betty capisce che sarebbe meglio che si appartassero lontani da me per continuare a parlare e lasciarmi studiare, ma non può proporlo per ovvi motivi.
La tensione è alta. Finalmente succede il fatto risolutivo.

«Per questo motivo» conclude il Marinelli dopo un lungo sermone «il linguaggio non può essere studiato pensando alla realtà. Il linguaggio, come dire, andrebbe vivisezionato in laboratorio, depurato degli scossoni sociali che non ci permettono di renderlo oggetto di analisi.»
Questa non mi può passare.
«E quindi lo studio del linguaggio non serve alle persone?» provoco.
«Ma lo studio non deve servire alle persone, deve servire a chi studia e deve essere libero da condizionamenti.»
«Anche dai condizionamenti dell’essere nati sul pianeta Terra?»
«Sì, lo capisco che gli umanisti faticano ad allontanarsi da una concezione esperienziale del linguaggio, che siete presi dal peso della tradizione, che avete bisogno di citare continuamente i classici.»
«Guarda che sei tu che hai fatto citazioni finora.»
«Ma non sono testi della tradizione, sono filosofi attuali, le scuole americane ad esempio stanno rivoluzionando il modo di fare filosofia. Non serve la filosofia se non può essere utile alla psicologia, alla comunicazione.»
«Al mercato.»
«Sì, anche al mercato, certo, perfino alla pubblicità. Bisogna essere laici da questo punto di vista.»
«La filosofia non serve se non riesce a cambiare il mondo» mi lancio enfatico.
«Questi sono i vecchi luoghi comuni marxisti.»
«Io non sono marxista.»
«Ma ragioni come i marxisti evidentemente anche se ti definisci liberale.»
«Io non sono liberale, forse sei tu che continui a ragionare secondo schemi ideologici ottocenteschi e non te ne rendi conto.»
«Senti vedila come vuoi, non mi interessa, io so solo che il linguaggio non può cambiare il mondo, e di questo ne sono sicuro, l’ho imparato a mie spese.»
«Il linguaggio può anche uccidere secondo me.»
L’aria pesante non risparmia Betty che legge chiaramente sotto questo dibattito tra giovani intellettualoidi postmoderni l’acredine atavica dei cacciatori vicini alla preda.
«Vabbè mi fate studiare adesso?» interviene lasciandoci interdetti.
«Sì scusa, studiamo» le risponde preoccupato lo scienziato comunicatore.
Sono irritato, prima di tutto di essere stato invitato a singolar tenzone, anzi di essermi messo da solo nella situazione, ma sono irritato anche per la faciloneria con cui Betty ha gestito tutto questo. Non riesco più a studiare, mi rullo una sigaretta e comincio a fissare inutilmente il libro con una brutta sensazione alla bocca dello stomaco. Ma non riesco a mollare la presa, ad andarmene e lasciarli soli, e mi cruccio di questo. Mi salva miracolosamente l’arrivo di Titti e Rosario, che stanno preparando anche loro il mio stesso esame e si siedono ad un tavolo vicino, ne approfitto per andarli a salutare e discutere la materia comune, restando in zona visiva. Titti rulla una canna e ritrovo la tranquillità di fumare tra amici mentre si chiacchiera, senza nemmeno il senso di colpa di stare perdendo tempo visto che siamo in argomento d’esame. Betty è all’altro tavolo, la vedo spiare dalla nostra parte e quando faccio cenno di passarle la canna si avvicina a fare due tiri. Forse è la prima volta che fuma dalla sera dell’arresto, mi dispiace che le capiti in questo momento di tensione e la rabbia che provavo nei suoi confronti si allenta del tutto nel momento in cui le passo la canna.
La riconosco in questo momento, vedo tutto quello che mi attrae di lei, tutta la sua forza di volersi godere la vita e tutta la sua impotenza di fronte alle mostruosità del mondo. Fa solo due tiri scambiando poche battute con gli altri e ritorna al suo posto, mentre se ne va le accarezzo i capelli in segno di armistizio e le guardo le gambe che si muovono scoperte sotto la gonna rossa.

La sera rimaniamo a mangiare insieme a Titti e Rosario nella mensa di Piazza Puntoni rifugio degli squattrinati studenti che si accalcano nella fila, Luigi è andato via ma Betty gli ha detto che probabilmente in serata andremo in Piazza Maggiore. In mensa ci attardiamo bevendo il vino orribile alla spina che però ci schizza e io mi ritrovo inaspettatamente in una doppia coppia che mi piace.
Sta conoscendo le mie persone, e sta succedendo a piccoli passi, le raccontiamo delle scorribande nel Salento e le facciamo venire voglia di conoscere la nostra terra madre.
Immagino un pezzo di estate da condividere con lei al mare e sento che è possibile in tutto questo casino far vincere i sogni.
«Ma se ce ne andassimo in tenda sul mare quest’estate?»
«Ci sono un sacco di pinete» le dice Rosario «se vuoi si può dormire anche solo con l’amaca, tanto fa caldo. Poi ci sono i raduni reggae in campagna dove si organizzano i campeggi improvvisati.»
«Andiamoci!» mi esalto.
«Sì ma io voglio stare nella natura, di folla ne ho abbastanza dopo un anno qui.»
«Ma non ti immaginare Woodstock, le dance-hall sono clandestine, vanno avanti col passaparola e di solito sono tra gli ulivi, anche la campagna è natura» le spiega Titti.
«Intanto vediamo come va a finire quest’anno, devo passare quest’esame altrimenti…»
Sappiamo tutti che il problema non è solo l’esame.
Mentre camminiamo alticci per via Zamboni mi prende la mano e io le do un bacio sulle labbra. In Piazza Verdi Rosario e Titti si fermano a parlare con un gruppetto di amici seduti a terra e noi due ci nascondiamo a baciarci dietro una colonna, come due ragazzini.
«Vieni davvero quest’estate da noi?» le chiedo interrompendoci. Non mi concede risposta e ricomincia a baciarmi. Forse vorremmo fare l’amore ma come al solito siamo nel posto sbagliato, ce ne accorgiamo e continuiamo verso Piazza Maggiore lasciandoci indietro gli altri due. Lì ci sono Davide e Cesare e altri con le chitarre e forse anche Igor, abbiamo preso un mezzo appuntamento a pomeriggio e vogliamo unirci a loro stasera, vogliamo continuare a stare con le nostre persone.

amore.JPG


Il reading radiofonico del primo dialogo qui riportato si può ascoltare e vedere dal minuto 45 del seguente video:

Alcune copie cartacee de L’ultimo anno sono ancora reperibili online. Per informazioni clicca qui

2 pensieri riguardo “L’ultimo anno (20) # Duelli

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