PRECEDENTE
Luglio 1996
«Vieni su con me» mi dice Igor, e senza che me ne accorga mi ritrovo con lui in macchina diretto verso il Nordovest.
Non mi dispiace abbandonare l’afa asfissiante ma mi turbano molte cose, andare via in questo momento, sotto esame, anche se mi porterò i libri e Igor mi ha promesso un luogo ideale in mezzo al verde dove sarò da solo a dormire e potrò concentrarmi.
Lasciare tutti sotto tiro, lasciare Betty che è sotto esame anche lei e sotto tiro più di me, ha l’anima instabile e trova spesso in me una persona con cui parlare. Siamo andati a passeggiare in questi giorni all’imbrunire dopo le giornate di studio, ci siamo raccontati e ci siamo baciati ancora senza promesse e senza cornici di nessun tipo, ma siamo coinvolti e i vari casini intorno a noi sembrano rafforzare questo coinvolgimento.
Mi chiede se voglio restare in città e lo sta chiedendo a se stessa, io non so cosa risponderle. È stanca della storia con Davide, di un anno confusionario e delle angosce che non se ne vanno. Le dico che sono stanco anch’io, ma sono fiducioso perché stiamo vivendo cose importanti.
Ci accarezziamo con le parole e con i corpi, ci vogliamo bene e non andiamo troppo avanti con l’intimità. Quando le dico che Igor mi porta in Piemonte accenna un sorriso sarcastico come volesse dirmi hai visto che avevo ragione. Ma non sa che mi turba rivedere Anja, e non glie lo dico. Forse c’entra anche Anja con l’insistenza di Igor a farmi partire insieme a lui, ho paura di vederla perché dovrò raccontarle tutto e perché sento che lei si aspetta il mio dovere di maschio. Del resto io il mio dovere di maschio libertino lo dovrei fare, non ho alcun legame reale e sulla carta non dovrei preoccuparmi di fare ingelosire Betty visto che non ho fatto una piega alla sua storia con Davide in tutti questi mesi. Ma la carta in queste cose non conta nulla e dall’arresto in poi Davide e Betty stanno quasi evitando di vedersi da soli, forse per non alimentarsi le tensioni forse perché era già destinato a concludersi il loro ménage.
La casa dove mi scarica Igor all’arrivo è un piccolo bungalow in legno di loro proprietà immerso nel verde e nel silenzio dei monti intorno. Dopo il viaggio sono rilassato e felice del cambio di paesaggio, penso che è perfetto per studiare, faccio una doccia e mi addormento per qualche ora. Quando arriva Anja non mi sveglia ma inizia a cucinare, intorno alle 8 di sera bussa alla porta aperta della camera dove sono collassato e viene ad abbracciarmi nel letto. Mi riempie di parole raccontando delle sue ultime vicende, mentre resto rifugiato sotto le coperte dato il clima montano. Non ci mette molto però a ordinare di vestirmi e venire a mangiare, lasciandomi solo e finendo di preparare la tavola per noi due. Me lo nego perché mi impaurisce, ma l’esuberanza e i capelli rossi di Anja mi attraggono. È come se non sapessi bene come muovermi di fronte a queste cose, come se non mi sentissi preparato, forse sono solo paranoie, ma ci sono e mi bloccano.
Igor non le ha raccontato nulla delle ultime settimane, me ne rendo conto subito e mi passa per la mente l’idea di non dirle niente nemmeno io, ma so che non è giusto. L’ostacolo più difficile allo studio però non è Anja, ma i loro amici, ad iniziare da André che fin dalla prima sera si sente in dovere di accogliere nel migliore dei modi l’ospite terrone e ripagare l’ospitalità bolognese offrendomi distillati locali che mi tagliano le gambe. Finisco la serata vomitando accanto all’uscio del bungalow, in mezzo al prato incolto e con Igor che mi tiene la testa.
Già il pomeriggio successivo però, quando Anja mi porta a passeggiare accanto al laghetto vicino al loro paese, inizio a raccontarle i fatti scottanti. Rimane a dir poco sconvolta, nonostante eviti molti particolari, come la mia intuizione recente che dietro la porta probabilmente c’erano gli assassini che ci hanno visto e che Betty non è la ragazza di Davide ma invece è solita passeggiare insieme a me nei tramonti metropolitani durante l’ultimo mese. Lo faccio per non crearle ulteriori ansie o forse per non affrontarle io.
A cena ci troviamo con Igor e i loro genitori, in una villetta piacevole ai margini del paesino, mangiamo all’aperto e ascoltiamo i racconti del padre sulla vita montana e la guerra che è passata anche dalle Alpi e i paesi a duemila metri d’altezza dove un tempo vivevano centinaia di persone coltivando patate nella poca terra ricavata tra i sassi e ora sono completamente vuoti, sul capitalismo umano dei sanatori costruiti in alta montagna dagli Agnelli negli anni Venti per mandare a curare gli operai che si ammalavano, sui terroni che arrivavano negli anni Sessanta a lavorare alla Fiat e vivevano nelle baraccopoli e coltivavano i pomodori nella vasca da bagno, i terroni miei parenti.
Il fascino misterioso della natura montana mi sta facendo tornare quell’attrazione esotica dell’infanzia, la neve, l’omino Marlboro Country e loro due, Igor e Anja, c’entrano con tutto questo. Anja lo capisce e tenta di affondare il colpo. Mi portano a ballare la stessa sera in un locale rock a quasi mille metri d’altezza, lei si scatena, flirta con vari ragazzi lì presenti, si conoscono tutti in quel locale mi sembra, ma quando ci ritroviamo, ormai alle tre, lei mi strattona verso l’esterno del locale e mi trascina verso il retro, dove si vede tutta la valle da una parte e dall’altra una fila interminabile di vette a coppia che aprono tra loro un pertugio che sembra l’infinito, che sembra portare verso l’universo. Quando cerco di sviare e temporeggiare con le battute ironiche decide lei di infilarmi la lingua in bocca.
Ci baciamo per qualche minuto. Mi guarda negli occhi e mi dice che ha deciso di venire a Bologna, l’anno prossimo.
I drammi delle ultime settimane non hanno fatto altro che alimentare l’immaginario, quella stessa mitologia della Bologna libera e felice da cui sono stato attratto anch’io un anno prima di lei, quando presi la sua stessa decisione, l’immaginario di questi decenni, di questo secolo.
La rivelazione della sua decisione mentre ho ancora il suo sapore tra le labbra mi rende ansiogeno, invece di eccitarmi. Vorrebbe fare l’amore sul momento, ma inizia la mia fuga. Lei mi crede in pugno ed è ubriaca, rientriamo e decidiamo di andarcene via in macchina, dopo aver liquidato Igor, o meglio dopo che lui ci ha liquidato sparendo con una diciottenne francese, almeno secondo quanto ci dice Andrè. Troverà passaggio per tornare, non c’è dubbio. Guido per la strada del ritorno seguendo le indicazioni sconnesse che Anja riesce a darmi, quando imbocco la strada principale del loro paesino inizio ad orientarmi e mi dirigo verso il bungalow. Anja continua a parlarmi di Bologna e della sua vita futura, la cosa mi mette in agitazione perché preferisco non pensare a Bologna in questo momento. Entrati in casa ci buttiamo sul divanetto biposto della cucina e cominciamo a baciarci e toccarci.
Mi arriva la nebbia e mi fermo, dicendo un no secco che la lascia di sasso e la fa tornare lucida. Mi torna la sensazione di distacco dal corpo, i pensieri vagano in modo ossessivo come quel primo giorno nella cucina della casa-relitto. Anja si spaventa, le dico di stare tranquilla e le accarezzo un braccio, dopo poggio la testa sulla sua spalla e chiudo gli occhi. Lei mi accarezza la testa di riflesso, ma ha la tensione del rifiuto subìto, una tensione a cui forse non è abituata e le si aprono scenari angoscianti per il futuro. Cerco giustificazioni improbabili, parlo dei miei problemi sentimentali, delle mie ansie, dei miei blocchi irrisolti, ma la cosa in lei non fa altro che peggiorare la situazione. Voleva fare l’amore.
Parlo dei miei ultimi mesi di vita e nei discorsi acrobatici che imbastisco spunta il nome di Betty. Anja si drizza e si rimpettisce, levandomi la testa dalle sue spalle e la gamba appoggiata sulle sue ginocchia.
Una donna ferita e saggia.
I nostri pensieri sono senza controllo tra memoria e nemesi. Mi viene in mente Chiedi alla polvere.
Forse questo e forse quello, domande sopra domande, una donna ferita e saggia che annaspa nel buio in cerca della passione di Arturo Bandini, fuoco, fuochino, fuochetto, mentre Bandini non vede l’ora di liberarsi del suo segreto.
«Io vado a dormire» mi dice.
«Anch’io.»
Si sfila dal divano, raccoglie in modo deciso la coperta gettata accanto e se ne va nell’altra stanza, quella dove non dormo io. Passo delle ore sul divano, disteso a metà con le gambe ancora a terra dove sono scivolate quando Anja le ha scansate, chiudo gli occhi ma non dormo, resto così per ore anche se ho freddo, mi passa per la testa tutto, gli ultimi mesi, la casa-relitto, Betty e gli altri e anche prima, il liceo, Erika, le amicizie sentimentali. L’autogestione a scuola e le case occupate del Pratello, San Domenico, il 36. E soprattutto i manganelli, mi compaiono continuamente, si agitano tra la gente, sbattono sulle porte, distruggono mobili e suppellettili. Non capisco perché, ma questa immagine torna continuamente.
I manganelli a casa nostra che affondano il relitto, riducono in macerie i nostri effetti personali, ci inseguono nel corridoio.
Il mio cuore non trova pace, è impazzito e schizza centinaia di battiti al minuto come se mi fossi fatto centinaia di joint, invece non ho fumato, invece sono sconvolto dall’aver visto la mia mente, le mie parole annientare in pochi minuti tutto quello che ci eravamo scambiate con Anja, la nostra piccola storia condivisa.
Mi addormento dopo ore e mi risveglio sentendo trafficare davanti ai fornelli. È Anja che mi porta il caffè, è mattina e il sole è già entrato dalle finestre di legno chiaro superando anche gli ostacoli delle cime intorno, il sole potente e sicuro delle Alpi. Ma io non sono così sicuro che il giorno vecchio sia passato, anzi vorrei che non lo fosse, che ci fosse ancora una possibilità, una notte che non è finita. Ogni lassata è persa mi ronza ancora nel cervello, mentre Anja viene a sedersi accanto a me, al posto di qualche ora prima, ma ora tutto è diverso, glielo leggo in faccia nonostante io sia ancora sconvolto e senza sufficienti ore di sonno per essere lucido.
«Ci sto pensando, non lo so se voglio davvero venire a Bologna a settembre.»
«Oh Anja ascolta…»
«No, per favore, non c’entri tu, è che devo capire bene cosa voglio fare della mia vita.»
«Senti, io ho un sacco di problemi in questo momento, non la prendere come una cosa personale, quello che è successo ieri sera è frutto…»
«È frutto? Finisci la frase» mi punta aggressiva, togliendomi il poco coraggio che ho.
«È frutto… non lo so nemmeno io, non so spiegarlo…»
«Quando lo capisci poi mi chiami e me lo spieghi, ok?»
«Va bene…»
Sentiamo una macchina che si avvicina nel vialetto.
È Igor che parcheggia ed entra correndo nel bungalow.
«Buongiorno, tutto bene?»
«Sì» rispondiamo sorpresi.
«Sono entrati in casa nostra, a Bologna, hanno fatto un’irruzione stanotte, mi ha appena chiamato Cesare, e per fortuna ho risposto io perché se mia madre sentiva la sua voce andava nel panico.»
«Che hanno fatto?»
«Un gran casino, ma alla fine non hanno trovato nulla ovviamente.»
«Chi c’era in casa?»
«Loro due.»
«E basta? Come stanno?»
«Sì, solo loro, stanno bene ma hanno le palle girate, dicono di voler partire.»
«E noi che facciamo? Dobbiamo tornare oggi, no?»
«Proviamo a sentirli più tardi, magari cambiano idea, in fondo se non hanno trovato nulla non si accaniranno ancora.»
«E cosa cercavano, cadaveri? Se non ce li mettono loro.»
«Magari hanno piazzato delle cimici!»
«Oh cazzo!»
«Non lo so sto ipotizzando. Perché non chiamiamo Betty intanto?»
Mi giro d’istinto a guardare Anja che si alza e va verso il lavandino a posare la tazzina di caffè. Igor capisce in quel momento che anche nel suo bungalow c’è tensione anche se di tipo un po’ diverso. Ma Anja non si spazientisce. Le donne di solito sanno passare sopra alle piccole beghe personali quando si rendono conto che c’è qualcosa di più grande, non restano aggrovigliate in pensieri ossessivi che impediscono loro di andare avanti. Almeno questo mi ha presentato spesso la vita, al contrario di quello che ho visto sempre succedere a noi maschi. O forse sono io che resto continuamente aggrovigliato e invidio la loro forza.
È lei che propone infatti la cabina alla periferia del paese, lontana da orecchie indiscrete di controlli familiari e polizieschi. Ma Betty ha poco da dirmi sulla vicenda, lo ha saputo da poco anche lei e sta per andare a casa nostra.
È anche abbastanza fredda al telefono, sembra che ci sia qualcosa sotto. Non finisce più questa storia e io sto iniziando a stancarmi. In compenso Igor chiama a casa nostra e riesce a trovare Davide e parlano a lungo dei dettagli di questa nuova irruzione. Capiamo che dal verbale rilasciato quello che è successo è formalmente una perquisizione con mandato, dovuta al sospetto che la nostra casa potesse essere interessata alle vicende criminose legate alle case occupate di via del Pratello.
Ma non si sono comportati troppo male, non hanno menato, non hanno sfasciato tutto come succedeva nello stesso momento nei miei pensieri notturni, solo che hanno rovistato dappertutto per trovare qualcosa di compromettente e quindi la roba è tutta in disordine.
Decidiamo di rilassarci al bar vicino e di prendere in faccia il sole di luglio mentre facciamo una colazione più sostanziosa. Decidiamo anche di partire, nel pomeriggio, non possiamo tirarci indietro adesso e in fondo ci siamo già scansati il peggio, la sveglia violenta alle sei di mattina.
Pranziamo a casa loro e nel pomeriggio Anja mi porta al bungalow a fare le valigie, ma parliamo poco. Alle tre ha un impegno e se ne deve andare lasciandomi da solo ad aspettare Igor. Ma dopo aver varcato l’uscio fa un sospiro e si ferma sulla veranda, subito prima dei tre scalini. Io ho lo sguardo basso, ma me ne accorgo e le vado incontro lentamente, cerco la sua mano e ci abbracciamo in un ultimo contatto inaspettato che ci lascia il groppo alla gola e un sacco di lacrime che decidiamo di non fare uscire.
Così, per non darla vinta del tutto alla malinconia.
Alcune copie cartacee de L’ultimo anno sono ancora reperibili online. Per informazioni clicca qui
2 pensieri riguardo “L’ultimo anno (19) # Una donna ferita e saggia”