Luglio 1996
Il cadavere degli squatter
Bologna, 3 luglio
Si infittisce di mistero la vicenda legata all’irruzione della polizia lo scorso 19 giugno negli appartamenti occupati di Via del Pratello. Ieri mattina il questore ha confermato, durante una breve conferenza stampa, le voci che circolavano negli ambienti degli autonomi e non solo, cioè il rinvenimento di un cadavere nel giardino retrostante lo stabile occupato dagli squatter. La macabra scoperta venne fatta dagli stessi agenti durante la perquisizione notturna in cui furono sequestrate numerose armi da taglio e svariati quantitativi di hascisc e marijuana destinati allo spaccio nell’ambiente dell’autonomia bolognese. Fu per caso che due agenti, perlustrando la zona esterna del condominio, si accorsero di un grosso buco riempito da poco tempo con della terra relativamente fresca, all’interno del piccolo orto comune a diversi condomini della zona e curato da alcuni anziani abitanti.
Non è stato ancora possibile riconoscere il cadavere, in stato di decomposizione, che nel frattempo è conservato nell’obitorio di via Irnerio, ma sembra trattarsi di un uomo sui quarantacinque anni, probabilmente italiano. Addosso ai vestiti laceri non sono stati ritrovati documenti ma solo un portafogli totalmente vuoto. Sono state disposte l’autopsia per stabilire le cause della morte e l’analisi delle impronte digitali sugli indumenti.
«Nei giorni scorsi – riferisce il questore – sono stati ascoltati i quattro squatter detenuti alla Dozza per spaccio e alcuni loro compagni a piede libero convocati dalla questura. Tutti negano di essere a conoscenza dell’esistenza di un cadavere nell’orto retrostante. Gli inquirenti stanno rivolgendo le indagini anche verso gli altri abitanti della zona e verso gli ambienti della malavita organizzata, che potrebbe aver sfruttato quello spazio fuori dalla legalità per occultare il cadavere.»
Il nero anarchico questa volta si tinge di giallo. Molti bolognesi iniziano a chiedersi se non sarebbe ora di stringere le maglie della tolleranza verso queste anomalie che continuano a rievocare gli infausti anni di piombo della nostra Repubblica. Anomalie che non si addicono più ad una città come la nostra, che aspira a diventare capitale europea della cultura.
La cucina-teatro durante il pranzo del tre luglio è disseminata di accidenti e improperi, sono i particolari quelli che danno più fastidio, l’enfasi roboante della capitale europea non è repellente quanto l’orto degli anziani che invece era stato fatto da due ragazze salutiste della casa che ci avevano piantato le zucchine e i pomodori e la salvia e la melissa e altre cose ancora avevano disseminato e volevano curarsi così magari, fuori dalla legalità, e volevano mangiare così magari, fuori dalla produttività. Il giornale è rimasto lì buttato sulla tavola tra i piatti vuoti della pasta al sugo, piegato sul fronte superiore della pagina due dove appare l’articolo. Davide è buttato sul divano in attesa del telegiornale regionale delle quattordici che qualche cazzata dirà, anch’esso, ancora oggi magari, dopo che ieri l’aveva tirata a lungo con le immagini trionfali del questore. Abbiamo tutti una strana sensazione di attualità che ci opprime, non solo i giornali e i telegiornali e le voci qui intorno, ma l’attualità proprio quella nostra, di un anno accademico che sta finendo e di incombenze istituzionali tipo esami e pagamenti di bollette e di affitti che richiederebbero più attenzione in questo momento, ma adesso è difficile, adesso c’è un’altra attualità più attuale che ci attanaglia e quasi quasi, sì, quasi quasi rimpiangiamo quella vecchia normale bigia quotidianità che tanto stiamo riluttando e che si sta facendo strada, il campus, le tasse, la vita nei condomini normali, gli orari di ricevimento, le file nelle copisterie, le file nelle mense, nelle poste, nelle banche, ai banconi del pane dei supermercati, alle USL per il medico condotto, dal medico condotto per le ricette, ai semafori per attraversare, le file per vivere, per sopravvivere. No, così non ha senso.
Davide vuole partire, vuole andarsene, andare via o tornare da dove è venuto, è incazzato, è preoccupato, noi gli diciamo non devi temere, non hai fatto niente, sei nel giusto, ma sono chiacchiere per meglio sopportare la tensione, lo sappiamo che c’è da preoccuparsi, i cani addestrati stanno per arrivare, stanno per annusare le merde nel giardino e quelle nello sgabuzzino e troveranno i resti di qualcosa da consegnare ai loro padroni, cani anche loro al servizio di altri padroni, e così via e se troveranno una merda di scusa che fa al caso loro saranno guai per noi, per lui, per tutti.
No, con questa tensione non posso mettermi a leggere le vicende di Tiberio e Caio Gracco, potrei mettermi a urlare dallo spavento e sognarmi di notte il digesto e la fossa dei leoni, i centurioni armati e le croci. Ancora le croci.
La sera usciamo tutti insieme, noi quattro di casa, insieme a Betty che ci raggiunge al Nettuno e ci dirigiamo verso i circoletti di via Avesella. Entriamo all’Onagro e ordiniamo vino e bruschette. Siamo stranamente allegri, ci sentiamo in una specie di riunione di famiglia e ci piace, ci protegge. Nessuno accenna ai fatti e più il vino sale più escono fuori racconti erotici, gesta eroiche di gioventù liceale, gaffe compromettenti, storie minime. È come se ci stessimo rendendo conto che quello che conta siamo noi, siamo le persone, e basta. Ci stiamo rendendo conto che prima di tutto ci interessa conoscerci, sapere come la pensiamo, quello che ci è capitato e quanti fratelli e sorelle abbiamo, se onoriamo o litighiamo con il padre e con la madre, se ci mancano i colori delle nostre rispettive terre. Se ci piace fare l’amore, e quanto e con chi. Non è solo il vino, è qualcosa sopra le nostre teste che ci ha fatto scattare l’autocoscienza. Nei momenti in cui qualcuno esagera ad alzare la voce o a ridere gli altri sono subito pronti a contenerlo, a farlo rientrare nei canoni, anche se sappiamo che nel circoletto nessuno si scandalizza. Abbiamo voglia di anonimato, di privato. E di stare attenti agli sguardi tra di noi.
«Allora com’è questa collega avvocata, è porca?» provoca Davide.
«È una brava guagliona, mica me la dà le prime sere, è timorata di Dio, non come quelle con cui vai tu» insinua sornione Cesare, mentre fuma di profilo con le gambe accavallate «presenti escluse naturalmente.»
«Non ti preoccupare, l’avevo capito che ti riferivi alle altre» risponde Betty arrossendo lievemente.
«Che stronzo.»
«Hai cominciato tu.»
«Ma che ne volete sapere voi, le francesi sono le vere porche, fanno finta di essere raffinate, poi quando vengono da noi si scopano mezzo paese in un’estate. A me hanno fatto cose…»
«Igor c’è una signorina!» lo riprendo.
«No, Marco, mi interessa, davvero, non mi capita spesso di partecipare alle confidenze tra maschi.»
«Non sai che ti perdi!» le rispondo.
«Cosa credi, dietro quello sguardo gentile si nasconde una butch, dovresti saperlo» mormora Cesare al mio orecchio, ma non abbastanza a voce bassa.
La nostra posizione intorno al tavolino rettangolare è strategica. Igor, che è il più recalcitrante a stare seduto, è a uno dei lati corti, dalla parte più vicina al bancone e all’uscita, si alza per ordinare, per andare al bagno, per salutare qualcuno che entra e si volta continuamente alle sue spalle dove c’è il locale per vedere cosa succede.
Al lato opposto, il vero capotavola, con la visuale comoda e totale su quello che succede, c’è Davide, che non si alza, ma fa un cenno con una mano ai volti conosciuti e intanto ci ha in pugno, Igor all’altro capo di fronte a lui e noi altri ai lati. Su uno dei lati lunghi, al braccio destro di Davide, c’è Cesare che però, come detto, posteggia in modo alquanto disinvolto ed è lui che in verità tiene in pugno la discussione, ha un piede dentro e un piede fuori all’autocoscienza, più incline com’è al ruolo del magistrato che a quello dell’imputato, ma con l’indole franca e popolare che tutto sommato disprezza il potere che si sta costruendo intorno. Io sono dalla sua stessa parte, accanto a lui ma rivolto contro di lui, il mio gomito fiancheggia quello del compagno di avventure Igor e i miei occhi vagano tra quelli di Davide e quelli di Betty. Dall’altro lato lungo c’è Betty, da sola e unica donna al tavolino, nel ruolo stretto di accompagnatrice del capotavola ma di fronte ai due uomini veramente infatuati di lei e pronti all’eventuale ménage scandaloso e sotterraneo di gambe sotto i tavoli, ma accanto anche al libertino Igor insieme al quale tutto sommato potrebbe anche decidere di scappare da un momento all’altro approfittando del suo dinamismo e tagliando la testa a tutte queste chiacchiere.
La verità, oltre l’avanspettacolo, è che la sua presenza ci fa da collante e ci rianima, ci convince che non stiamo sbagliando tutto in queste nostre vite complicate.
«Ma guarda in che cazzo di guaio dovevamo cacciarci» irrompe Davide tirando fuori il non detto della serata e lasciandoci in silenzio per molti lunghissimi secondi.
«Quello che non capisco» incalza Cesare, «è come sia possibile che non si siano accorti di niente.»
«Veramente qualche sospetto ce l’hanno…»
«Come sarebbe?»
«È un sospetto, non è niente di certo, però è successa una cosa strana. Ora ve la dico, ma prendetela per quella che è. Ne ho parlato qualche giorno fa con Giulia delle case occupate, è lei che curava l’orto.»
«E che stavi aspettando a dircela?»
«Sono cose delicate Cesare, non è facile sputtanare le persone.»
«Sì però in questi casi…»
«C’era un telo verde…»
«Un telo?» esclama Betty.
«C’era un telo verde, tipo quelli che si usano per la raccolta delle olive, ma più piccolo, quadrato, che ricopriva esattamente il punto dove è stato trovato il cadavere.»
«Assurdo! E nessuno si era insospettito?»
«Sì, adesso vedi un telo a terra e pensi che c’è sotto un morto?»
«Chi ce l’aveva messo il telo?» domando ansioso.
Davide mi guarda e sospira, si sente delatore forse e ancora una volta dietro mia richiesta deve fare quel nome.
«Rossella.»
«Sì, vabbè, ma allora è tutto chiaro.»
«Chiaro cosa?» protesta Cesare.
«Ok, adesso però tu ci dici che cosa ne sai di questa storia» protesta giustamente anche Davide.
«Va bene. È successo… Igor quand’è venuta tua sorella con André?»
«Cosa c’entra mia sorella adesso? A marzo mi sembra…»
«Ecco a marzo.»
Per la prima volta rivelo il segreto che sappiamo solo io e Anja. Racconto tutto nei dettagli, le sere che sentivamo urlare, il tipo che frequentava la casa di Rossella, e poi quella notte finita con noi quattro collassati sui divani e Anja sveglia con me, che parliamo nel buio della cucina-teatro. Mi scopro spesso a rivolgermi agli occhi attenti di Betty mentre racconto questo pezzo. E dopo il colpo, la sagoma a terra che abbiamo visto dalla finestra, il nostro tentennamento, la discesa indagatrice negli inferi del giroscale del nostro stabile. Racconto anche della mia perlustrazione il giorno dopo la manifestazione.
«Subito dopo che ti ho chiamato» dico a Betty sottolineando il dettaglio.
«E perché non hai detto niente finora?»
«Non è facile sputtanare le persone, l’hai detto tu poco fa» rispondo a Davide cercando complicità.
«Sì, è vero» aggiunge lui sospirando ancora. Ci riconquistiamo una fiducia, una fratellanza politica in questo momento in cui è chiaro che qualcosa sta per succedere alla nostra amicizia, dopo il pomeriggio a San Domenico tra me e Betty di qualche giorno prima.
«Scusate però io non ho capito una cosa» irrompe Igor «questa uccide il compagno, o quello che è, lo sotterra in una notte da sola e il giorno dopo va alle case e decide di mettere un telo sul buco che ha fatto. E nessuno se ne accorge?»
«Le case aveva iniziato a frequentarle prima di marzo» puntualizza Davide.
«E il telo lo aveva messo prima probabilmente» prosegue Cesare «il morto non è detto che lo abbia sotterrato subito e non è detto che lo abbia fatto da sola.»
«Giulia mi ha detto che il telo serviva a coprire una particolare semina, doveva essere una specie di protezione. Ma se ne occupava direttamente Rossella.»
«Una volta Rossella…» inizia timidamente Betty «una volta mi ha detto… insomma mi ha raccontato qualcosa, di un tipo con cui stava, che si alcolizzava… era strafatta quella sera, avevamo preso un po’ di confidenza e mi ha raccontato qualcosa del suo passato, che questo tipo insomma la picchiava, che le chiedeva continuamente dei soldi…»
«Beh, sicuramente avrà avuto i suoi buoni motivi per fare una stronzata del genere» conclude Cesare.
Mi sento più sollevato, ora che ho condiviso finalmente questi pensieri. Mi guardo seduto davanti a questo tavolino, in questa lunga e bollente serata di luglio e mi sento in famiglia adesso. Facciamo una pausa, Davide va in bagno e Cesare lo segue, Igor si volta a guardare cosa succede nel mondo, visto che da un po’ lo aveva perso di vista, va a salutare delle ragazze al tavolo vicino.
Smollo un calcetto allo stinco di Betty, sotto il tavolo.
Mi guarda come a dire che vuoi?, dopo mi sorride e allunga una mano verso di me, sopra il tavolo. La stringo, dopo la accarezzo e sento svuotarsi la tensione dal mio collo, mi scopro con i muscoli delle spalle che perdono la rigidità in cui erano rimasti intrappolati finora.
Mi accorgo che il cuore mi batte forte.
Stacchiamo la presa poco dopo, non è il caso di creare imbarazzi questa sera. Ma sento che in questo momento lei c’è. Come se fosse normale che io debba sempre avere bisogno di conferme, come se fosse normale che debba avere più bisogno io di lei in questo momento, io più di Davide.
«C’è un’altra cosa che non torna» riprende Cesare. «Non vi sembra strano che durante un’irruzione i poliziotti vadano a ravanare nell’orto?»
«Cosa c’è di strano?»
«Non so, a me sembra assurdo che questi in tutto il casino che c’era si siano preoccupati di andare nell’orto dove non c’era nessuno e si siano accorti nel buio di un buco ricoperto da un telo e scavato tre mesi prima.»
«Magari cercavano qualcuno che era scappato da quella parte.»
«No, questo no» dice Davide «appena sono entrati hanno bloccato subito le uscite, compresa quella del giardino.»
«Appunto» risponde Cesare, «hanno piantonato l’uscita mentre gli altri andavano a ravanare. Non vi siete accorti di niente voi?»
«No, a parte il fatto che in effetti… sì, in effetti due poliziotti sono stati fermi lì tutto il tempo, ma non mi sono accorta degli altri che sono andati in giardino. Però devono esserci andati per forza, altrimenti non avrebbero trovato il cadavere.»
«Ok, e quindi?»
«Quindi sapevano.»
«Chi sapeva?»
«Qualcuno di loro, non dico tutti, qualcuno della Digos magari che ha organizzato tutto e aveva un drappello di fedelissimi che hanno fatto l’azione nell’orto.»
«E che magari ha anche aiutato Rossella a seppellire il morto.»
«Forse nemmeno aiutata, l’hanno ammazzato e sepolto direttamente loro assoldando qualche uomo di fiducia.»
«Mi sembra fantascienza» dice Igor.
«Ma ve lo devo spiegare io quello che fanno i servizi segreti in Italia?»
«In effetti anche a me sembra eccessivo» dice Davide.
«È un’ipotesi.»
«E poi perché?»
«Per chiudere le case evidentemente, per creare lo scandalo e tra poco agire indisturbati alla pulizia della città. Ma non vi siete resi conto di che aria tira? Tutti gli spazi sono sotto tiro, ricevono intimidazioni continuamente, gira voce che vogliano chiudere il 36.»
«Addirittura?»
«Vogliono riprendersi gli edifici, normalizzare, fare il campus universitario, vendere le case, affittare agli studenti per bene. Giovani, siamo negli anni Novanta, credete di stare facendo la rivoluzione voialtri, con le canne e le birre?»
«Sì, ma così scatenano la guerra civile.»
«Quanti credi che scenderanno in piazza a difendere gli spazi? Alla gente non frega un cazzo degli spazi, andranno a bere da qualche altra parte, continueranno ad esistere i posti più forti, quelli che fanno soldi con i concerti e sono diventati locali ormai, quelli che fatturano e pagano le bollette, e tutti saranno contenti. Ragazzi, stanno arrivando i marines, non l’avete capito? I giovani che verranno i prossimi anni non sapranno più niente di tutto questo, si impasticcheranno, si demoliranno davanti alla televisione fino alle sei di mattina, faranno gli aperitivi agli Irish Pub e saranno contenti così, occhio non vede cuore non duole.»
«Non ne sono così sicuro, le cose si tramandano» ribatto.
«Sì, ma le cose finiscono anche, specialmente quelle belle. Basta non farle tramandare.»
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