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Nuovo Millennio
La gatta ha generato sei gattini nel giardino della mia casa di famiglia. Saranno vent’anni che questa gatta se ne va in giro a scoparsi chi gli pare, torna per il cibo e per le coccole e partorisce micro gatti. In realtà non è sempre lei, lei è stata una dei micro gatti, una figlia, ma la sua mamma, la sua nonna, la sua bisnonna erano uguali a lei.
Tigrate, sveglie, occhio di lince, promiscue e allo stesso tempo tenere, affettuose, concilianti e mediatrici con il mondo degli umani. Quando nascevano erano le più forti, quest’ultima in particolare perse la madre dopo un mese di vita, schiacciata da una macchina un giorno che si era inoltrata sulla strada principale, e praticamente svezzò lei i suoi due fratellini che le succhiavano il pelo cercando inutilmente un capezzolo.
Come al solito solo lei rimase nel nostro giardino, i fratelli si persero in giro per altri giardini o per le terre ancora incolte della periferia di campagna, o magari sono morti anche loro di malattia o di investimento. Lei, come le sue ave, mi ha preso in simpatia perché quando arrivo le dedico tempo mentre mi fumo una sigaretta all’aperto o guardo come stanno i chicas e gli agrumi. Capisce subito che mi può sottomettere ai suoi desideri, che non le farò fare voli e non le darò calci come gli altri maschi della mia specie, nemmeno quando mi romperà le palle.
In questi giorni di agosto mi stendo spesso sul dondolo a leggere Good Life di McInerney, lei arriva mettendosi sulla traiettoria dei miei occhi con il libro, per essere calcolata.
Il mio fastidio si frena subito al ricordo di una delle sue ave del vecchio millennio, che si metteva tra me e i libri di filosofia che dovevo studiare nei ritagli di tempo agostani per sostenere a settembre esami rimasti indietro dal precedente anno accademico. Stessa prosopopea del cazzo, stessa esigenza di contatto fisico, stesso egocentrismo. Vent’anni, sempre lei, tigrata grigia, che decide di mettere radici qui anche se nessuno glielo ha imposto, che guarda bramosa al di là della zanzariera della porta finestra che da sempre impedisce a lei e a tutte le migliaia di animaletti che girano in questo giardino di entrare nella lussuosa dimora di noi umani.
Ma la sua scelta è un calcolato equilibrio di libertà e necessità. Può cacciare lucertole e sbafarsi gli avanzi. Beneficiare delle coccole umane e scannarsi con altri gatti. Può calpestare sia i cuscini del dondolo che la terra rossa.
Può sparire per sempre, anche se non lo farà.
La nascita di questi gattini la scorsa settimana ha provocato la stessa apprensiva curiosità di quando nacque lei, quattro anni fa. Per la prima volta arrivarono i figli dei vicini, sette e nove anni, carichi di scatole e barattoli, manzi e croccantini pubblicizzati durante le pause dei cartoni animati. Era agosto anche allora e la mia ostilità a quei barattoli ebbe un moto di pietà davanti agli occhi raggianti dei bambini. Permettemmo loro di prendersi i gattini, di ingozzarli di scatolette, di chiuderli in casa impartendo loro l’educazione urbana che insegnava la televisione, di farli circolare su lettiere piene di merda e mattonelle levigate.
Non è bastato. Gli altri due come al solito sono spariti, lei è tornata qui con la forza della fuga e dell’insolenza, figlia ribelle di madre ribelle. Si è seduta nel vaso di terra senza piante che dal nostro giardino sporge sulla strada, in attesa di qualche maschio fico da spupazzarsi, e dopo un po’ di sesso libero ha deciso che era l’ora di farsi ingravidare. Durante la gravidanza e lo svezzamento poi il maschio ovviamente non serviva più, serviva solo un posto dove figliare nascosto e lontano da umani assillanti e altri animali più pericolosi. L’ho vista girare per un po’ con la pancia dondolante, ho pensato di aiutarla con una cuccia improvvisata che lei ha elegantemente declinato ignorandola totalmente.
Dopo si è infilata in un vecchio scatolone che aveva contenuto l’ultimo televisore comprato dai miei, lasciato da un paio d’anni nel garage posteriore della casa, e lì ha partorito sei nuovi micro gatti.
I nostri vicini hanno tentato per un po’ di reclamare la proprietà, accennando a qualche generico elemento del diritto di famiglia. I miei hanno risposto che la gatta non è nostra, non ha il cognome di famiglia, non ha mai messo piede in casa, ma usufruisce semplicemente di spazi aperti. Un po’ a malincuore, hanno dovuto accettare la scelta anarchica del loro felino e non hanno avuto il coraggio di agire con la forza e sgomberare la cuccia illegale all’interno della proprietà altrui.
Ho apprezzato anche in questa evenienza la meditata fricchettanza dei miei, andarsene ad abitare in semiaperta campagna appena resa suolo edificatorio e sparire almeno per un po’ dagli occhi del paese, ma sotto forma di similvilletta medio borghese e in vicinanza senza contatto con gli altri abitanti della natura salentina, umani compresi. Tale equilibrio purtroppo non mi appartiene, o forse un po’ sì. Chissà ora cosa ne sarà di questi sei, di cui tre sono tigrati. Forse l’effetto cibo chimico a dosi industriali ha raddoppiato le capacità riproduttive, come noi che siamo il doppio d’altezza dei nostri bisnonni e portiamo sette taglie in più di calzatura plantare.
Chissà se è nata anche questa volta la tigrata che continuerà la stirpe matrilineare e che mi darà ancora una volta l’illusione di essere immortale, l’illusione che dalle parti dove sono nato nulla si crea e nulla si distrugge. L’illusione di avere sempre la stessa gatta di proprietà ad aspettarmi quando torno nella casa di famiglia, anche se sono state tante gatte e tutte senza nome né cognome di famiglia.
Anche la mia ultima gatta è tigrata ma il fidanzato è uno solo e sta sempre qui
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De gustibus 😀
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Ottimo gusto. Un bel gattone nero peloso.
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La mia massima ambizione è rinascere gatta. Come mi va sempre rinasco topo rachitico.
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Ho tre gatti… anzi avevo perché la mia preferita, la mia ombra è morta il 4 febbraio. Leggerti e piangere come una fontana è stato inevitabile. Ne ho altri due ma lei era LEI è non me la ridarà nessuno…
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mi dispiace…
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Grazie per la comprensione, così è la vita… mi manca da morire…
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Mi piace il concetto della continuita’ gattesca che prescinde dalle identita’ generazionali, come fosse sempre lo stesso gatto o una sua replica fedele.
ml
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